Santificazione delle relazioni domestiche
Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 - 1932).
589.
La grazia non distrugge la natura ma la perfeziona. Ora le relazioni
domestiche furono istituite da Dio stesso: volle che la specie umana si
propagasse per mezzo della legittima e indissolubile unione dell'uomo e
della donna, e che questa unione fosse ancor più rinsaldata dai figli
che ne nascerebbero. Onde le intimissime e affettuosissime relazioni tra
marito e moglie, tra genitori e figli, che la grazia del sacramento del
matrimonio aiuta a rendere soprannaturali.
1° DELLE RELAZIONI TRA GLI SPOSI CRISTIANI.
590.
Assistendo alle nozze di Cana ed elevando il matrimonio cristiano a
dignità di sacramento, Nostro Signore mostrò agli sposi che la loro
unione può essere santificata e ne meritò loro la grazia.
A)
Prima del matrimonio, l'amore cristiano, amore tenero e ardente, casto e
soprannaturale, ne unisce i cuori e li prepara a sopportar più
validamente i pesi della famiglia. La natura e il demonio tentano, è
vero, d'insinuare in quest'affetto un elemento sensuale che potrebbe
essere pericoloso per la virtù; ma i fidanzati cristiani, sorretti dalla
pratica dei sacramenti, sapranno dominar questo elemento, e renderanno
soprannaturale il mutuo amore, rammentandosi che tutti i nobili
sentimenti vengono da Dio e a lui si devono riferire.
591. B) La grazia del sacramento, unendone i cuori con vincolo indissolubile, ne affinerà e purificherà l'amore. [...]
592.
C) Quando Dio dà loro dei figli, li ricevono dalla sua mano come un
sacro deposito, li amano non solo come parte di sè stessi ma come figli
di Dio, membri di Gesù Cristo, futuri cittadini del cielo; li circondano
di continuo affetto e premura; danno un'educazione cristiana,
studiandosi di formare in essi le stesse virtù di Nostro Signore, ed
esercitano a questo fine con riguardo, delicatezza, forza e dolcezza,
l'autorità data loro da Dio. Non dimenticano che, essendo rappresentanti
di Dio, devono evitare quella debolezza che tende a viziare i figli e
quell'egoismo che vorrebbe goderne senza formarli alla virtù e al
lavoro. Con l'aiuto di Dio e degli educatori, che scelgono con la
massima cura, ne fanno uomini e cristiani, esercitando così una specie
di sacerdozio in seno alla famiglia; potranno quindi fare assegnamento
sulla benedizione di Dio e sulla riconoscenza dei figli.
2° DEI DOVERI DEI FIGLI VERSO I GENITORI.
593.
A) La grazia, che santifica le relazioni tra gli sposi, perfeziona
pure e rende soprannaturali i doveri di rispetto, di affetto e di
obbedienza che i figli devono ai genitori.
a)
Ci mostra nei genitori i rappresentanti di Dio e della sua autorità; a
loro, dopo Dio, dobbiamo la vita, la sua conservazione e la buona sua
direzione. Il nostro rispetto per loro deve quindi giungere fino alla
venerazione: ammirando in essi una partecipazione della divina
paternità, "ex quo omnis paternitas in cælis et in terra", della sua
autorità, delle sue perfezioni, Dio stesso dobbiamo venerare in loro.
b)
L'affetto, la bontà, la sollecitudine loro verso di noi ci appariscono
come un riflesso della provvidenza e della bontà divina, onde il nostro
amor filiale diventa più puro e più intenso, giungendo persino alla più
assoluta dedizione, tanto che saremmo pronti a sacrificarci per loro e
dare, occorrendo, la vita nostra per salvar la loro; prestiamo quindi
tutta l'assistenza corporale e spirituale di cui hanno bisogno, secondo
tutta la nostra possibilità.
c)
Vedendo in loro i rappresentanti dell'autorità di Dio, non esitiamo a
obbedirli, in tutto, ad esempio di Nostro Signore che, per trenta anni,
fu sottomesso a Maria e a Giuseppe: "et erat subditus illis". Questa
obbedienza non ha altri limiti fuori di quelli posti dallo stesso Dio,
cioè che si è obbligati a obbedire più a Dio che agli uomini; ond'è che
in ciò che riguarda il bene dell'anima, e specialmente rispetto alla
vocazione, al solo confessore dobbiamo obbedire, dopo averlo informato
delle condizioni di famiglia. Anche in questo imitiamo Nostro Signore,
il quale, quando la Madre gli chiese perchè l'avesse abbandonata,
rispose: "Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?
Nesciebatis quia in his quæ Patris mei sunt, oportet me esse?" 593-3
Rimangono così salvi i diritti e i doveri di tutti.
594.
B) Entrando nel chiericato, abbandoniamo il mondo e fino a un certo
punto anche la famiglia, per entrare nella grande famiglia
ecclesiastica, e occuparci quindi innanzi principalmente della gloria di
Dio, del bene della Chiesa e delle anime. Gli interni sentimenti di
rispetto e d'affetto per i genitori non cangiano certo, anzi si
affinano, ma le esterne manifestazioni dipenderanno quindi innanzi dai
doveri del nostro stato; nulla dobbiamo fare per piacere ai genitori ove
ne venga danno al nostro ministero. Il primo nostro dovere è di
occuparci delle cose di Dio; ove dunque accadesse che il modo di vedere,
i consigli, le esigenze loro si opponessero a ciò che da noi richiede
il servizio delle anime, con dolcezza ed affetto ma con fermezza faremo
loro intendere che, nei doveri del nostro stato, dipendiamo solo da Dio e
dai superiori ecclesiastici. Continueremo però a onorarli, ad amarli,
ad assisterli secondo tutta la possibilità compatibile coi doveri del
nostro ufficio.
Cotesta regola s'applica pure, e a più forte ragione, a coloro che entrano in una congregazione o in un ordine religioso.
[Brano
tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe
Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta,
Società di S. Giovanni evangelista - Imprimatur Sarzanæ, die 18
Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. - Desclée & Co., 1928]
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